VITTORIO IMBRIANI


 

“Intellettuale dei più attraenti, trasgressivi e difficili del nostro secondo Ottocento, Vittorio Imbriani si è distinto come autore fra i più colti, tanto profondo quanto eclettico narratore, poeta, saggista, estetologo e teorico della letteratura, filologo, critico d’arte, memorialista, demopsicologo, pubblicista e polemista politico”.

Nato il 27 ottobre 1840 da Paolo Emilio, insigne giurista e letterato, e da Carlotta Poerio, sorella di Alessandro e Carlo Poerio, trascorse l’infanzia e la giovinezza in esilio con la famiglia, espatriata a Nizza nel ’49 poi a Torino.

Ebbe, oltre il padre, pochissimi precettori, e per breve tempo; i suoi studi, può dirsi, li fece tutti da sé. Allievo, nel 1858, del De Sanctis presso il politecnico di Zurigo, raccolse le lezioni sul Petrarca e sulla letteratura cavalleresca del Maestro, che si accorse del precocissimo ingegno del discepolo ed anche del suo carattere estremo.

Nel 1858 interruppe gli studi, tornò in Italia e si arruolò nell’esercito piemontese per la guerra contro l’Austria. A guerra finita, fece ritorno a Zurigo, per riprendere gli studi; quindi si recò, per consiglio dello stesso De Sanctis, a Berlino per perfezionarsi nella filosofia hegeliana in particolare e nella letteratura tedesca.

Ritornato a Napoli nell’estate del 1862, dopo una permanenza a Parigi per seguire un corso di economia politica e di archeologia letteraria, intraprese l’insegnamento come libero docente di Letteratura tedesca nell’Università; frutto del corso tenuto nell’anno accademico 1862/63 fu il saggio Del valore dell’arte forestiera per gli Italiani (Napoli, 1863), cui seguì lo studio polemico Sul Fausto di Goethe: in essi volle giudicare con indipendenza e distacco la letteratura tedesca, senza associarsi alla germanolatria, che allora si andava profilando, ed intese sostenere il valore della cultura italiana.

Si dedicò,inoltre, attivamente al giornalismo letterario e politico, collaborando al Progresso e alla Rivista Napoletana, e poi al quotidiano L’Italia, diretto dal De Sanctis; quindi, rottosi col suo antico Maestro per motivi di natura privata oltre che per dissensi politici, al giornale napoletano La Patria.

Nel 1866 interruppe le sue lezioni di Letteratura tedesca, per tenere nei mesi di febbraio e marzo un corso di estetica, di cui è documento il saggio Le leggi dell’organismo poetico e della poesia popolare italiana.

Nel maggio dello stesso anno si arruolò tra i garibaldini, per partecipare alla terza guerra d’indipendenza, nel corso della quale fu fatto prigioniero a Bezzecca.

Studioso del mondo classico, di autori italiani e stranieri, l’Imbriani ci ha lasciato numerosi scritti di critica letteraria e d’arte, nei quali applicò, da maestro, i criteri critici del De Sanctis, come dimostrano il saggio Berchet e il Romanticismo italiano (1867) e quelli confluiti nella raccolta delle Fame usurpate (1877). Le rassegne su La Quinta Promotrice (1868) rappresentarono una vera rivelazione del suo gusto e sensibilità di fronte alle arti figurative.

Inoltre, ha consegnato alla narrativa opere di notevole valore artistico, come i romanzi Merope IV (1867) e Dio ne scampi dagli Orsenigo (1876), in cui sono costantemente avvertite non solo la consapevolezza, che fu poi tipica per gli intellettuali del primo Novecento, di un rapporto alienato con i modelli di vita imposti dalla nuova società, ma anche un atteggiamento critico nei riguardi delle generazioni del mondo borghese e un’ analisi sarcastica e scettica di quanto vedeva attorno a sé e che gli pareva simbolo della corruzione dei tempi.

Fu anche autore di racconti e di fiabe, come Mastr’Impicca, Le tre maruzze, Il vivicomburioL’impietratrice ecc…, che hanno fatto di lui un moderno uomo terenziano, che si diverte come “un gaio fanciullone” a “scandalizzare e ridere”.

Più tardi s’immerse negli studi di erudizione e volle, e si compiacque, di essere “palombaro letterario”.

I suoi lavori di letteratura popolare, di demopsicologia, com’Egli diceva: Canti popolari delle province meridionali,la Novellaja milanese, la Novellaja fiorentina;

le illustrazioni ad opere di varia erudizione e tante altre ricerche gli hanno acquistato fama durevole in Italia e fuori.

Pure in tale poliedrica attività di studioso e di scrittore, conservò vivissimo l’attaccamento a Pomigliano d’Arco, ove aveva vissuto la sua prima infanzia. Divenutone cittadino, fu consigliere e assessore comunale e poi anche sindaco; e nell’esercizio di tali mansioni si adoperò perché vi fosse istituito un asilo infantile, s’incrementasse l’istruzione elementare e fosse costruito un tronco ferroviario che congiungesse Pomigliano d’Arco a Napoli.

Nell’avita “ casa palazziata” nella via allora detta della “Pigna” e, più tardi, via “Vittorio Imbriani”, stabilì la sua dimora e qui, dopo il matrimonio, volle che nascessero i figli; da qui era datata la maggior parte delle sue pubblicazioni. Ma più duratura testimonianza di affetto per questa terra sono le cure che Egli spese nel raccogliere i conti, i canti popolari e le canzonette infantili del luogo e nell’illustrarli con viva passione erudita.

Purtroppo tanto fervore di vita e di opere venne a subire una improvvisa battuta d’arresto, perché inaspettatamente le sue condizioni di salute cominciarono a declinare; ricomparve il terribile male, la spinite, sofferto prima delle nozze, dal quale credeva di essere guarito e che lo condannò a morire giovane, giovane ancora di anni e d’ingegno, il 1° gennaio 1886.

Il suo corpo riposa nel cimitero di Pomigliano d’Arco, nella cappella gentilizia degli Imbriani – Poerio, dichiarata monumento nazionale con Regio Decreto del 23 gennaio 1930 n°65. Sulla sua tomba è incisa la seguente epigrafe, dettata da Benedetto Croce:

 

A

VITTORIO IMBRIANI

CRITICO ARGUTO LETTERATO INSIGNE

NEI CAMBI DI BEZZECCA STRENUO SOLDATO

CUI

NELLA VITA NELLA POLITICA NEGLI STUDI

UNICO IDEALE SORRISE

LA GRANDEZZA VERA D’ITALIA

IN NAPOLI

N. XXVII OTTOBRE MDCCCXL

M. IL CAPODANNO DEL MDCCCLXXXVI