LA DIMORA POMIGLIANESE DEGLI IMBRIANI

Gli Imbriani non sono di origine pomiglianese, ma irpino-caudina, propriamente di Roccabascerana, in provincia di Avellino:…”domo arce Basciarana”, si legge, tra l’altro, nell’iscrizione lapidaria sulla tomba di Matteo Imbriani juniore (1783-1847), il primo di questa Famiglia, venuto a Pomigliano d’Arco, in seguito al matrimonio, celebrato il 12 maggio 1806, con Caterina De Falco (1788-1836), giovane ereditiera pomiglianese.

Per la famiglia, cosi costituitasi, Pomigliano d’Arco divenne la dimora preferita per motivi sentimentali e pratici. Infatti, la Caterina, figliuola unica, mal si sapeva adattare a vivere lontana dai genitori. Il paese, poi, poco distante da Napoli, dove Matteo, quando non vi risiedeva, era costretto a recarsi per ragioni di studio e di ufficio, contribuì alla scelta.

Una casina al centro della grande “casa palazziata” fu la dimora preferita per la maggior parte dell’anno dai due sposi.

Anche il loro figlio, Paolo Emilio Imbriani (1808-1877), pur non essendovi nato ebbe assai cara questa dimora, ove aveva trascorso l’infanzia e la fanciullezza prima dell’esilio paterno e , dopo, anche la giovinezza.

In una sua malinconica monodia, intitolata L'ARPA, composta nel settembre 1836 (raccolta, poi, nel volume Versi di Paolo Emilio Imbriani, Napoli, 1863, pp. 185-193), il giovane poeta, dopo l’invocazione alle “materne sedi”, rievoca le sue corse giovanili lungo la via Delle Rose, al limite della quale era già in fase di costruzione il Cimitero, in cui Egli pensava, come avvenne, di aver pace.

 

“... Nella solinga

Ed ascòndita via che dalle rose,

Dilettanza di vergini si noma,

Levasi a manca, ahi, delle rose invece

Il funereo cipresso; e il cimitero

Adombra. Io riposarmi ebbi in costume

Sotto il rezzo de' pampini e de' pioppi,

Quando affannato in giovanili corse

Dal cammino avea requie

 E pace avrommi io là, negata

Altrove, ..

 

E rivive, durante le suggestive passeggiate, presso al tramonto, lungo le rive del*Carmignano, care memorie della sua fanciullezza, distrutte dalla realtà della vita presente:

 

“ Io spesso in sull'incerta

Sera lungo le tue fiorenti rive,

Onda di Carmignano, i corsi tempi

Vivo, spirando i vespertini fiati

De' zeffiri fragranti 

Oh quante allora placide sembianze,

Limpide fantasie, dorate larve,

Memorie infrante dell'età mia nova,

Riedono a me!

 

 

  

 

* Il “Carmignano” era un canale che scorreva, a manca, lungo la strada che da Pomigliano d’Arco mena ad Acerra. Esso fu progettato dal patrizio napoletano, Cesare Carmignano, dal quale prese il nome, con il consiglio tecnico del matematico Alessandro Ciminelli, per far convogliare a Napoli, allora scarsamente fornita dall’antica Bolla, le chiare e fresche acque del fiume Feanza, formato da varie scaturigini nei territori di Sant’Agata dei Goti, San Martino V. C., Paolisi, Cervinara.

 

 

 

 

 

 

 

 

LA CAPPELLA GENTILIZIA DEGLI IMBRIANI – POERIO NEL CIMITERO DI POMIGLIANO D’ARCO

Cappella Imbriani Poerio nel cimitero di Pomigliano d'Arco
Cappella Imbriani Poerio nel cimitero di Pomigliano d'Arco

 

Pomigliano d’Arco ha il privilegio di custodire nel Cimitero cittadino il Sepolcreto degli Imbriani-Poerio[1], sacro alle memorie patrie in quanto raccoglie le spoglie di celebri esponenti di questa famiglia, che, nello spazio di tre generazioni, riassume tutto un secolo di storia napoletana e italiana: “ una famiglia insigne – come scrive il Croce – per costanza di pensieri e per incessante fervore di opere e di sacrifici [...], ma soprattutto per la profonda interiorità morale del suo abito di vita, per la schiva austerità del suo alto sentire[2].

Dal 1799 al 1820, dal 1820 al 1848, dal 1848 al 1860, dal 1860 al 1871 e fino al 1897, i due nomi di Imbriani e di Poerio s’intrecciano e si confondono con le pagine più gloriose del Risorgimento nazionale.

Non vi è tra queste tombe quella di Giuseppe Poerio (1775-1843), che dopo la giovanile esperienza rivoluzionaria del 1799 diede vita alla tradizione moderata nel Mezzogiorno “serbando tenace fede all’ideale delle libere istituzioni[3], né quella di sua moglie Carolina Sossisergio (1778-1852) e del figlio Alessandro (1802-1848), il poeta soldato, morto a Venezia combattendo in difesa della Repubblica di San Marco, costituita da Daniele Manin dopo la cacciata degli austriaci.

Confidiamo, però, che i loro resti mortali non saranno negati al suddetto Sepolcreto, dichiarato monumento nazione con R.D. del 23 gennaio 1930, n. 65[4].

Le tombe che vi veneriamo sono quelle di Matteo Imbriani (1782-1847), di Carlo Poerio (1803-1867), di Paolo Emilio Imbriani (1808-1877), di sua moglie Carlotta Poerio (1807-1867) e dei figli Vittorio (1840-1886), Matteo Renato (1843-1901) e Giorgio (1848-1871).

In esso riposano anche le spoglie di Caterina, di Giuseppe e di Giulia, figli di Paolo Emilio e di Carlotta, morti in giovane età; di Gigia Rosnati (1859- 1919), moglie di Vittorio Imbriani, e dei loro figli Paolo Emilio e Carlotta, morti bambini, e infine di Irene Scodnik (1850-1940), moglie di Matteo Renato Imbriani e di sua sorella Irma Melany Scodnik (1847-1924)[5].

Il suddetto Sepolcreto dovette essere costruito tra il 1860 e il 1861. Infatti, la madre di Paolo Emilio, Caterina De Falco, morta nel 1836, fu sepolta nella Chiesa parrocchiale di San Felice in Pincis di Pomigliano d’Arco non essendovi ancora un cimitero[6], e il padre Matteo, deceduto nel 1847, nel cimitero di Napoli.

In essa, accanto alla salma della figlia, fece poi traslare dal cimitero di Napoli anche quella del padre, e qui successivamente raccolse la moglie e i figli premortigli, e, nell’aprile del 1867, fece trasportare il corpo del cognato Carlo Poerio, morto a Firenze (ma il cuore, trattòne durante la imbalsamazione e chiuso in un’urna di cristallo, è conservato in un monumentino nel recinto degli uomini illustri del cimitero di Napoli.

Sopraggiunse quindi l’esilio, che terminò alla fine di settembre del 1860: Appena dopo il ritorno a Pomigliano d’Arco, l’Imbriani il 2 ottobre vi perdette la figlia diciottenne Caterina, per cui, non possedendo nessun loculo nel locale cimitero, fu indotto a provvedere alla sepoltura della salma della figlia, dapprima, provvisoriamente, nel deposito della chiesetta del cimitero[7] e poi, in maniera definitiva, nella Cappella di famiglia, la cui costruzione, avviata in quello stesso mese, fu ultimata nell’ottobre dell’anno successivo.

Semplice, ma austera nelle linee architettoniche, la Cappella si erge quasi al centro della parte più vecchia del cimitero:  “Il piano interno – si legge nella descrizione che ne fa il compianto prof .Nunzio Coppola – si solleva di tre gradini di pietra scura vesuviana su quello del viale. Sotto vi è scavato l’ipogeo, chiuso da una lastra levatoia di marmo bianco fasciata di bardiglio, sulla quale è inciso l’emblema della famiglia: uno scudo con fascia trasversale sormontata da due stelle e dal nome IMBRIANI, e da un nastro svolazzante alla base col motto UNITA’-LIBERTA’- INDIPENDENZA”[8].



 

La parte restante del pavimento è in mattoni rossi. Al centro della facciata, sull’ultimo gradino, si apre il pesante cancello d’ingresso in ferro battuto, incorniciato da una fascia anch’essa di pietra scura vesuviana; sull’architrave vi è la scritta in lettere di bronzo: IMBRIANI-POERIO.

Nell’interno, le nicchie sono ricavate nelle pareti, chiuse davanti da lastre di marmo bianco, epigrafate.

Nella parete a sinistra di chi entra esse sono disposte in due file verticali di quattro ciascuna:

 nella prima fila sono sistemate le seguenti quattro nicchie, in quest’ordine, dall’alto:

Matteo Imbriani junior (1743-1847)

Carlotta Poerio negl’Imbriani (1807-1867)

Caterina Imbriani (1842-1860)

Giuseppe Caterino Imbriani (1839-1868);

nella seconda fila seguono altre quattro nicchie, in tale ordine dall’alto:

Giorgio Imbriani (1848-1871)

Paolo Emilio Imbriani (1808-1877)

Giulia Imbriani (1849-1871)

Carlo Poerio (1803-1867).

Nella parete frontale vi è una sola fila con le quattro nicchie della famiglia di Vittorio Imbriani, disposte, dall’alto, nel seguente ordine:

Gigia Rosnati (1859-1919)

Paolo Emilio II (1880-1881)

Carlotta Imbriani (1881-1887)

Vittorio Imbriani (1840-1886).

La parete a destra è divisa in due settori longitudinali: in quello subito dopo l’ingresso è sistemato il modello in gesso della statua di Paolo Emilio Imbriani, opera dello sculture napoletano Tito Angelini,(1806-1878), eretta in piazza Mazzini a Napoli, nel 1911, in occasione delle celebrazioni del cinquantenario dell’Unità d’Italia; nell’altro settore vi sono solo due nicchie dal basso: quelle di Matteo Renato Imbriani-Poerio (1843-1901) e di sua moglie Irene Scodnik (1850-1940).

Su queste ultime poggia il modello in gesso della statua L’Angelo del dolore del medesimo scultore. L’esemplare, in marmo, è collocato al centro del chiostro del Quadrato degli Uomini Illustri nel Camposanto di Poggioreale a Napoli.

Sulla parete a sinistra, tra le due file delle tombe, poggiato su una mensoletta, vigila, come lampada sepolcrale, il busto in marmo di Carlotta Poerio, modello, per il Croce, di “femminile pietà”[9], resa veneranda dalle sventure nobilmente sopportate e dall’animo altissimo, onde seppe operare e soffrire in silenzio per la patria e la famiglia, come figlia, come sorella, come sposa e come madre, amorevole ma anche risoluta, di uomini che, anche se di tendenze politiche contrastanti, lasciarono tutti cospicue testimonianze del loro nobile operare nella storia del nostro Paese.

 

 



[1] Gli Imbriani non erano di origine pomiglianese, ma irpino-caudina, propriamente di Roccabascerana, in provincia di Avellino: “….irpino caudino domo arce Basciarana”, si legge tra l’altro nell’iscrizione lapidaria sulla tomba di Matteo Imbriani juniore, il primo di questa famiglia, venuto ad abitare a Pomigliano d’Arco, in seguito al matrimonio celebrato il 12 maggio 1806, con Caterina De Falco (1788-1836), giovane ereditiera pomiglianese, conosciuta in Napoli nell’inverno precedente.

La famiglia Imbriani nel 1836, si congiunse in parentela con quella dei Poerio, avendo Paolo Emilio, figlio di Matteo Imbriani, sposato Carlotta, figlia di Giuseppe Poerio.

I Poerio – di antica famiglia normanna, stabilitasi a Taverna, in Calabria, sotto Guglielmo il Normanno durante la seconda Crociata (1147-1149), col titolo e feudo di Baroni di Belcastro – avevano già avuto nei secoli anteriori una lunga serie di uomini d’arme, di giureconsulti, dottori e prelati, illustri per valore e dottrina; ma cominciarono ad acquistare celebrità con le vicende della Repubblica Partenopea del 1799.

[2] B. Croce, Una Famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici, Bari, Laterza, 19493, p. 92.

[3] Ivi, p. 22.

[4] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiali del 29 febbraio 1930, n. 41.

[5] “Degna – come si legge nell’epigrafe – di riposare tra questi eletti” per le sue qualità di mente e di cuore. Di lei si ricorda la sua attiva partecipazione alle lotte per la difesa dei diritti politici e civili della donna e per la risoluzione pacifica delle controversie tra gli Stati.

[6] Iniziato a costruire dopo l’epidemia colerica degli anni 1836-37, esso fu inaugurato nel 1840.

[7] Come si ricava da una lettera del fratello Matteo Renato a Irene Scodnik, allora sua fidanzata, in G. Protomastro, Matteo Renato Imbriani –Poerio, Trani, Tip. Vecchi, 1904, p. 31.

[8] N. Coppola, La cappella gentilizia, in Appendice a Vittorio Imbriani intimo. Lettere familiari e diari inediti, Roma, I.S.I., p. 375.

[9] B. Croce, Una famiglia…, op. cit. , p. 74.